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Canale della Manica

Posted on : 18-10-2020 | By : Luigi | In : Racconti di Mare

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Il Canale della MANICA

 

a cura del Comandante Giovanni SANTORO

 

Ero giovane 3° Ufficiale quando, nel lontano 1958, con la carboniera “Teti” facevo i viaggi tra i porti atlantici degli Stati Uniti  e quelli del Nord Europa: Anversa, Rotterdam, Zeebrugge… Rimane indelebile il ricordo dell’impegno e della passione con cui attendevo al sevizio di guardia sul ponte di comando, nella zona più trafficata del mondo. Con l’esperienza di altri viaggi posso affermare che la Manica ed il Mare del Nord rappresentano per un giovane ufficiale una scuola per il servizio di guardia.

Prima che la nave entrasse nel Canale venivano consultate attentamente le tavole illustrate delle Brown’s Tidal Stream che, in funzione dell’ora dell’alta marea a Dover, indicavano l’andamento delle correnti di marea. Dalle batimetriche delle carte e da queste indicazioni di marea si stabilivano le rotte e si calcolavano le velocità effettive per determinare l’ETA da comunicare all’agenzia del porto di destinazione per la richiesta dei servizi all’autorità portuale.

Bishop Rock è il primo dei punti cospicui che incontravo prima che la nave entrasse nel Canale. Sulla sua imponente torre vi è il faro che, che con due flashes ogni 15 secondi, oltre a fornirci la possibilità di un punto di atterraggio, specialmente di notte, illumina le onde spumeggianti dell’Atlantico che vanno a rompersi incessantemente sulle rocce della minuscola isola. Dopo Bishop Rock, Cape Lizard, Start Point, Dungeness e lungo la costa francese il faro di Cap Gris Nez, a SW di Calais, e via via gli altri punti notevoli di costa che rilevavo dall’aletta di plancia con l’apparecchio azimutale per poi posizionare sulla carta il Pn sicuro con tre rilevamenti.

Lungo le due sponde, tra Dover e Calais, ci sono poco meno di 20 miglia. Nello Stretto di Dover c’è la massima concentrazione del traffico, in senso longitudinale con le navi in transito, in senso trasversale con i Ferry che traversano, per non parlare degli scafi veloci e del numeroso naviglio da pesca. Tra i compiti dell’Ufficiale di guardia la cinematica radar è importantissima: stabilire subito, con due battute in 3 minuti, il CPA delle navi che incrociano, specialmente quelle rilevate sulla dritta (se scadono di poppa, se guadagnano di prua, se il rilevamento rimane costante: rotta di abbordaggio), e rilevate nel settore prodiero, per distinguerle da quelle aventi rotte di controbordo (allora non c’erano le corsie di traffico) e da quelle, relativamente più lente, destinate ad essere sorpassate.

Il senso di responsabilità degli ufficiali era tale che, superato il traverso di Dungness, navigando quindi in questa zona d’intenso traffico, tutti si recavano sul ponte di comando e davano il loro contributo alla sicurezza della navigazione, particolarmente in tempo di nebbia (frequente durante i mesi primaverili, con l’anticiclone). La presenza del Comandante in plancia infondeva all’animo dell’Ufficiale di guardia un senso di sicurezza; ma non per questo ci si concedeva distrazione alcuna; in tutti era viva la responsabilità che un’errata valutazione di un radioeco sullo schermo radar poteva essere causa di sinistro irreparabile.

Una volta il Comandante (valente uomo di mare di Sestri Levante) mi confidò di preferire l’incontro di uno storm in Atlantico ad una giornata di nebbia nella Manica. Alla luce delle mie successive esperienze da Comandante concordo sulla fondatezza di quella osservazione.

Nel mese di febbraio 1959, a causa di un’alta pressione sull’Europa Centro-Settentrionale, la conseguente fitta nebbia con visibilità zero aveva costretto ben settanta unità navali a dar fondo le ancore davanti alle coste del continente europeo, a levante della Manica, perché impossibilitate ad entrare nei vari porti di destinazione del Nord Europa. La nostra nave doveva entrare nel porto olandese di Zeebrugge. Eravamo all’ancora, a 5 miglia dall’imboccatura, ed attendemmo ben sei giorni. Oggi un episodio del genere difficilmente si ripete; perché l’affidabilità dei sistemi radar di terra e di bordo é tale da garantire un’elevata sicurezza alla navigazione in acque ristrette. Erano pericolose ancora le navigazioni verso i porti tedeschi del Mare del Nord: Amburgo, Brema, Emden.

Lungo le cui rotte, allora, si nascondeva ancora l’insidia d’incontrare le mine della II guerra mondiale, ancorché le zone minate più pericolose fossero segnalate dalle Nemedri.

Un curioso episodio al termine di quella prolungata sosta all’ancora ha avuto come protagonista un pilota olandese. Egli aveva lasciato una nave sovietica all’ancora perché a bordo scarseggiavano i viveri (questo lo sapemmo dopo) e si diresse verso la nave italiana. Salì soltanto dopo aver avuto certezza che a bordo avrebbe potuto mangiare abbondantemente. La nostra nave, sempre sullo stand by, poté salpare per l’approdo dopo due giorni allorché si aprì uno squarcio nella nebbia.

Riferisco brevemente un altro episodio di bordo, verificatosi sempre in quelle acque. La carboniera, appena uscita dai lavori da uno dei cantieri navali di Anversa, era in attesa di entrare all’interno di una chiusa (la chiusa consente alle acque del porto di mantenere il medesimo livello in qualsiasi condizione di marea). Era il pomeriggio della vigilia di Natale: sarebbero state sufficienti soltanto poche ore di ritardo nell’ultimazione dei lavori da parte del cantiere, per poter trascorrere il Natale in porto anziché in navigazione! “l’è a partensa du camugin, u sabu a seia o a dumenega matin”; il dialetto ligure sul “Teti” prevaleva (“partenza affrettata per risparmiare spese portuali, ecc.”). Sbarcò il pilota d’ormeggio della chiusa ed imbarcò il pilota che doveva accompagnarci fino a Flushing. Dopo la chiusa la nave entrò in una canaletta. Lungo le sinuose anse del fiume Schelda la navigazione procedeva tranquillamente; in lontananza apparvero le luci di Gand; i belgi si preparavano alla Messa di mezzanotte. Il pilota al timoniere: “Zero la barre… babord… tribord…”

A mezzanotte, anziché sentire squillare la campana…natalizia, squillò il telefono del 3° Ufficiale di Macchina il quale mi avvisava che, appena fuori Flushing, sarebbe stato necessario fermare la nave in zona sicura della foce perché si sarebbe dovuto procedere ad un controllo: nelle casse di servizio del gasolio entrava acqua! Avvertito il Comandante, suonò poco dopo il posto di manovra per tutti ed in Macchina cominciò il lavoro alacre di ricerca del punto d’infiltrazione. Furono sollevati i paglioli, intercettate le valvole, smontati tubi ed aperti passi d’uomo, prosciugati locali … Alla fine un ingrassatore uscì da una cassa d’olio (dove era entrato senza la certezza del gas free!) con il volto imbrattato di morchia, ma con il sorriso sulle labbra: aveva individuato la via d’acqua: una fenditura verticale nella lamiera di divisione fra la cassa di gasolio e l’adiacente stiva N° 4 che aveva, come zavorra, quindici metri di battente d’acqua di mare.

Tornata la serenità a bordo, il pilota, prima ancora che l’ancora fosse salpata, era già sbarcato;  sul castello si provvide a rizzare la catena dell’ancora con bozze e gnarre. Stava per iniziare, nella Notte di Natale, un nuovo viaggio. Erano le 4 del mattino ed il Comandante ci riunì tutti (tranne le guardie) nella saletta ufficiali per lo scambio degli auguri natalizi; spumante nei calici e brindammo, col pensiero rivolto ai familiari lontani. Il mozzo, al suo primo imbarco, domandò al 1° Ufficiale se quella mattina di Natale poteva restare più a lungo in cuccetta. Glaciale e cruda fu la risposta del Primo: “oggi è Natale per i cristiani, non per i naviganti”. Quella risposta al mozzo mi ferì, come marittimo e come uomo, anche se conoscevo bene gli obblighi e i doveri di ciascun componente dell’equipaggio. Attesi le poche ore che rimanevano per salire sul ponte osservando distrattamente dall’oblò le luci dei battelli fanali: Wandelaar, West Hinder, Sandettié che sfilavano e, sullo sfondo, quelle delle cittadine costiere; mi riportavano sempre alle luci della mia città … e sognavo.

Ma tutti i sogni svaniscono all’alba: l’incipiente crepuscolo incominciava a rischiarare le bianche scogliere di Dover. Così cominciai la guardia alle 8, così iniziai a trascorrere il mio primo Natale a bordo, il primo di tanti altri …

Scrivo ciò con una punta di nostalgia. Rivivendo gli episodi descritti e pensando anche a tanti altri, avventurosi e non sempre tali, che inevitabilmente accompagnano la vita di un navigante, posso tuttavia affermare di non essermi mai pentito di quella scelta di vita fatta in gioventù: sono sempre appassionato della vita di uomo di mare, che vuol dire accettazione di rischio e sacrifici, dedizione per raggiungere e mantenere elevata professionalità, assunzione di responsabilità nel guidare una comunità viaggiante. Se un giovane sente tutto ciò ed è disponibile ad imparare dai superiori la tradizionale arte della navigazione, senza credere che schiacciando cinque o sei pomelli delle odierne plance ergonomiche sia in grado di condurre la nave, allora potrà diventare uomo di mare.

 

Pivoli, Pennoni e Griselle: la vita in Accademia

Posted on : 22-12-2018 | By : admin | In : Racconti di Mare

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Sono uno studente che ha da poco concluso il Liceo Classico quando, in risposta alla mia domanda, ricevo dall’Accademia Navale la lettera che attendevo con apprensione da qualche mese: presentarsi alla visita medica per il concorso allievi della 1a classe.

Accarezzavo il desiderio di entrare in Accademia da quando ero studente di ginnasio, anche se, a dire il vero, la fine dolorosa della guerra aveva lasciato in me qualche incertezza.

Decido di presentarmi ma appena arrivato provo sgomento nel vedere il gran numero di partecipanti alla visita medica, che si conclude con circa 200 concorrenti per 50 posti.

Il tema di italiano è un altro sbarramento eliminatorio prima di iniziare un tirocinio preliminare di tre mesi circa, con lo scopo di una selezione anche attraverso una prova di ‛vita in Accademia’. Sveglia quasi all’alba, conferenze, lezioni di trigonometria, esercitazioni militari e sul Brigantino interrato nel piazzale: poi, alle 9, tutti a dormire. Alla fine del tirocinio un compito scritto e un esame orale di trigonometria, un esame orale di cultura generale e una valutazione – data da ufficiali assegnati al corso – sulle nostre attitudini per la vita nella Marina Militare.

Ogni giorno ci sono dimissionari e all’assemblea nel piazzale ci contiamo e confrontiamo, commentando le motivazioni. Alla fine del tirocinio siamo solo 56 gli ammessi in 1a classe.

Si procede quindi nella scelta del corpo preferito: Stato Maggiore, Genio Navale e Armi Navali.

Su tale scelta pesa l’esito della visita medica per la vista: una miopia, anche lieve, non consente di scegliere lo Stato Maggiore ma solo i corpi tecnici, con grande delusione di chi – come me – avrebbe preferito lo Stato Maggiore. Ma pur di arrivare a essere un ufficiale di Marina resto e scelgo il Genio Navale, che consente tra l’altro periodi più lunghi di imbarco e quindi una vita più vicina ai miei desideri. Completate le scelte tra i corpi, in 1a classe siamo: 37 di Stato Maggiore, 11 del Genio Navale, 8 delle Armi Navali. Dopo una breve licenza ha inizio la 1a classe.

Gli allievi anziani della 2a classe ci chiamano ‛pivoli’ e siamo interrogati su argomenti di vita sul Vespucci, sulle sue attrezzature, fino alla Santa Barbara che si conclude con uno… ‛scontro fisico’ per occupare il brigantino dove la 2a classe si era insediata.

La giornata dell’allievo è una giornata piena, cadenzata dal suono della tromba, spesso stonata: in Accademia non c’è tempo per annoiarsi.

Le pratiche mattinali, la ginnastica in piazzale, un’ora di studio per prepararsi alle lezioni successive che si snodano per 4-5 ore al mattino, per poi lasciare il pomeriggio libero alle pratiche sportive e allo studio, con breve spazio per la ricreazione. L’assemblea degli allievi per l’ora di pranzo inizia con una specie di cerimonia: ‛la lettura delle ricompense e punizioni’ effettuata dall’allievo brigadiere. Infine, una o due volte la settimana, il cinema, mentre il giovedì e la domenica la franchigia.

Alla fine del primo anno arriva il momento dell’imbarco sulla nave scuola Amerigo Vespucci per la crociera estiva. Le emozioni sono infinite: si inizia dai giri di barra, quasi un saluto a noi ‛pivoli’. Si salta sulle griselle dell’albero di maestra, si arriva alla coffa e poi alla crocetta, per poi scendere e risalire di nuovo, a seconda del numero di giri inflitti. Dalla crocetta – con un po’ di strizza – butto lo sguardo in basso e con un respiro profondo osservo tutto estremamente piccolo.

Prima della partenza per la crociera c’è il saluto alla voce in piedi sui pennoni, poi il posto di manovra, la partenza, il contatto con il mare, le manovre sempre sui pennoni, le burrasche con posti di manovra anche notturni, la navigazione a vela in Atlantico con gli alisei e a motore nella nebbia verso il nord Europa, il dormire stanchi sulle cime distese in coperta, le ore di guardia come vedette sulle lance: esperienze uniche e indimenticabili. Poi le visite alle città estere, che cambiano di anno in anno e che per il nostro corso sono Palma di Maiorca, Porto Mahon, Gibilterra, Santa Cruz de Tenerife, Funchal, Ponta Delgada, Fayal, Tangeri, Dublino, Barcellona, Malaga, La Coruña.

Il Vespucci, oltre a essere riconosciuta ‟la nave più bella del mondo”, è altamente formativa per gli allievi. Tra gli avvenimenti da ricordare uno in particolare per il nostro corso: il brindisi per l’ingresso della nave Vespucci nell’Atlantico dopo… nove anni! E l’ufficializzazione del nome del corso: Atlantici, con la nostra bandiera che ‛sale a riva’.

Il secondo anno si conclude con una seconda crociera sul Vespucci, mentre il terzo, finalmente, con la nomina ad aspirante, la crociera sulla nave Montecuccoli e la comunicazione della destinazione su una nave della squadra. Comincia così la vita che avevamo sognato.

Da ricordare una tradizione: il ‛MAK π 100’ (con p greco), che significa che ‛mancano 100 giorni’ alla fine del periodo trascorso in Accademia! Questo evento rende più facile il trascorrere dell’ultima parte in Accademia, con festeggiamenti vari per tre giorni e con ‛il gran ballo’, la partecipazione di parenti, amici e anche delle ragazze che ci avevano ‛sopportato’ nelle serate di comandata.

Come inizio del percorso di vita sulle navi voglio ricordare quanto l’Ammiraglio Fioravanti aveva scritto su una guida pratica per noi giovani ufficiali che da poco avevamo lasciato le aule severe dell’Accademia Navale:

‟Fino a poco tempo fa voi avete sempre e soltanto studiato e le difficoltà della vostra vita non sono state che di ordine intellettuale e soggettivo. Voi non avevate che da vigilare su voi stessi, conoscere voi stessi. Finora non siete vissuti che nel vostro pensiero: ora, improvvisamente, cominciate a vivere nella realtà. La realtà è fatta di uomini, di cose e di avvenimenti: voi dovete imparare a guidare gli uomini, ad agire e a dominare gli avvenimenti. Avrete in principio pochi ed apparentemente facili incarichi: vi potrebbero sembrare anzi troppo umili e troppo al di sotto dell’altezza dei vostri studi recenti, se voi non rifletteste che, nella complessa vita di una nave, a voi è naturalmente affidata una nobile e alta missione, perché siete proprio voi tra i più immediati educatori dell’equipaggio, e che non vi sono incarichi umili e incarichi onorifici, ma solo diversi modi di intenderli ed espletarli. Sui banchi della scuola si è sviluppata la vostra intelligenza, sui ponti delle navi si forma il vostro carattere e si perfezionano le vostre attitudini”.

Andar per mare

Posted on : 05-03-2016 | By : admin | In : Racconti di Mare

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Memorie del Comandante Mario Devoto

Andai per mare la prima volta in una serena giornata di Settembre, tanti anni fa. A quel tempo la Marina Mercantile Italiana si stava faticosamente riprendendo dalle forti perdite subite negli anni della guerra e gli Stati Uniti avevano contribuito alla rinascita cedendo numerose navi costruite negli anni del conflitto. Si trattava dei Liberty, navi semplici, essenziali, innovative per il metodi di costruzione, essendo le prime navi saldate; ma ancora prive di sistemi di ausilio alla navigazione, di radar, di girobussole, di strumenti elettrici o satellitari quali quelli in dotazione alle navi moderne. Per navigare su quel tipo di navi bisognava essere veramente bravi marinai. Fu su una di quelle navi che m’imbarcai, un Liberty che da La Spezia sarebbe andato a Norfolk (Virginia) a caricare carbone. Passammo lo stretto di Gibilterra di giorno ed appena iniziata la traversata atlantica cominciammo a rollare. Navigavo perché imbarcarsi a quel tempo era un’occasione di lavoro, per tradizione familiare ed anche perché il mare mi affascinava, come mi avevano affascinato le letture giovanili (di Jack London, Conrad…). Quello che non sapevo allora era che il mare, il grande mare Oceano, sarebbe stato un’enorme parte della mia vita ed anche un grande amore.

Ho ancora un ricordo vivissimo del primo imbarco, dell’impatto con la vita di bordo, della figura del Comandante, un vero Master. Durante quel primo imbarco ebbi il battesimo del Mare del Nord. Una difficile palestra per ogni marinaio. Si afferma: chi sa navigare in quelle acque può navigare in qualsiasi altro mare. Passammo il Canale di Keel che mette in comunicazione il Mare del Nord col Mar Baltico. All’altezza di Amburgo le sponde del canale erano verdissime di erba e tanto vicine alla nave che sembrava di procedere in un mare di erba e di papaveri. Ho navigato, negli anni successivi, su navi più moderne, su petroliere italiane della Nai e dell’Almare; ho toccato i porti di cinque continenti transitando varie volte attraverso Suez, Panama, Golfo Persico, Dardanelli e Bosforo, solcando gli oceani e doppiando i capi di tutto il mondo.

Andar per mare per lunghi mesi trasportando merci da un porto all’altro della Terra non è certo come navigare per diporto. Il marittimo non è un novello Ippolito che, beato, ai suoi verdi anni correva di Grecia il mare. Il marinaio, oltre all’amore per il mare, porta con sé senso di responsabilità e sacrificio, professionalità e coraggio. Dovrà affrontare il gran caldo, il grande freddo, la solitudine, la lontananza e la separazione dalle persone care, dagli affetti, dovrà ad ogni partenza crearsi un nuovo spazio su una nave diversa con nuovi colleghi, nel profondo rispetto della disciplina che trae norme dal Codice della Navigazione, che prevede una sola gerarchia ben precisa, un’organizzazione per garantire il perfetto funzionamento e la sicurezza di lavoro di tutto l’equipaggio.

Andar per mare è una dura scuola di vita. Per un comandante significa saper affrontare il mare senza mai sfidarlo, conoscerlo come si conosce se stessi, sapere a fondo le qualità della nave per prevedere come essa risponderà ai comandi in qualsiasi momento o in qualsiasi emergenza difficile. Tutto questo con la precisa consapevolezza dei propri limiti e di quelli della nave. Nonostante tutto, andar per mare rimane sempre una bella avventura. Vi sono emozioni, nel navigare, di cui un marinaio difficilmente parlerà, specialmente se è ligure, poco incline alla confidenza, ma di cui altrettanto difficilmente si potrà dimenticare: certi tramonti, certe albe ed aurore, passare dai tropici con certe notti, i silenzi del crepuscolo che ‟inteneriscono il core”, l’amicizia del compagno, superiori o subalterni che siano, le confidenze brevi, sparute, gli scherzi, le partite a carte, i film, qualche bevuta, dieci balene che passano, incrociare una nave conosciuta e salutarla con la sirena.

Scendere a terra in gruppo, scendere per il piacere puro di camminare sulla terraferma, per sedersi al tavolino di un bar davanti al porto con una bibita ghiacciata e guardare da lì la tua nave ferma e sapere che senza di te non partirà perché aspetta il tuo ritorno.

È finito da diversi anni il mio tempo ‟andar per mare”. Non è finita e forse non finirà mai la mia nostalgia.

Comandante Mario Devoto.

Memoria di un navigante

Posted on : 16-09-2012 | By : admin | In : Racconti di Mare

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MEMORIA DI UN NAVIGANTE.

A cura del Capitano Superiore Lungo Corso Comandante della Sidermar

Giorgio Dapelo

Aprile 1954, l’anno del mio primo imbarco su una nave mercantile, dopo i 28 mesi di servizio militare; era una motonave del tipo a shelter-deck, due corridoi per ogni stiva, costruita nel 1927 per conto di una Compagnia inglese, la “Silver Line” ed il suo nome era “Silver Giava”. Dopo la guerra, ormai vecchiotta, era stata acquistata da un armatore italiano che aveva cambiato bandiera e nome; a suo tempo era stata certamente una nave di prim’ordine, veloce, poteva sviluppare una velocità di oltre 14 nodi, particolarmente adatta per carichi di mercanzie generali, ogni stiva servita da due picchi di carico abbinati a verricelli elettrici.

Passione e coraggio per affrontare l’odissea della vita sul mare

Posted on : 23-01-2012 | By : admin | In : Racconti di Mare

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Passione e coraggio per affrontare l’odissea della vita sul mare.
Memoria del

Comandante Capitano di lungo corso Antonio P R E T T E G I A N I

Nato il 21 giugno 1927 a Cherso, l’isola del Quarnaro che Gabriele D’Annunzio decantò: Ecco l’isola di sasso che l’ulivo fa d’argento.

Avendo effettuato 25 anni di effettiva navigazione su navi mercantili, di cui 23 al comando, descriverò, prima in breve, il periodo scolastico per il conseguimento del diploma e poi, un po’ più dettagliato, quello della vita di mare.

Dopo la scuola media, presso la Scuola Media “Francesco Patrizio” di Cherso, Pola, nell’anno scolastico 1943-44, ho frequentato la quarta classe inferiore dell’Istituto Tecnico Nautico “Cristoforo Colombo” di Fiume, conseguendo l’ammissione all’Istituto Tecnico Superiore. Desidero precisare che Francesco Patrizio, filosofo, nato a Cherso nel 1529 si firmava in latino “Franciscus Patrizius” e morì a Roma nel 1597. Riposa in S’Onofrio, accanto a Torquato Tasso.

Le stelle e l'amore

Posted on : 16-11-2009 | By : admin | In : Racconti di Mare

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Comandante Cap. Sup. L. C.
Mario Devoto

Quel giorno nell' “Etang” nulla si muoveva, non l'aria, non le foglie delle canne e dell'altra vegetazione sparsa lungo le rive. Il cielo era sereno e azzurro e il sole scaldava piacevolmente la schiena dei marinai, intenti al lavoro di manutenzione degli accessori di coperta, accucciati e curvi su di essi.

Il secondo ufficiale stava in piedi nei dintorni e gettava lo sguardo qua e là, vigilando sul lavoro e sui marinai: era il turno pomeridiano della terza guardia, la sua.Oggetto sconosciuto

La nave era alla fonda nell’Etang de Berre, alle bocche del Rodano, vicino alla Camargue, in attesa di andare in banchina a scaricare il suo carico di crudeoil e aveva l’ancora di dritta a mare, data fondo alla corta. Per questo il giovane secondo era in coperta e non di guardia sul ponte: da lì seguiva il traffico lento delle piccole imbarcazioni che si muovevano nella rada e controllava a occhio la posizione di fonda della nave, che in assenza di vento e di corrente non si muoveva neppure e, tanto meno, alambardava. Sul fianco dritto, fra il cassero centrale e il cassero di poppa, lungo la murata, era stata messa in posizione una biscaglina a tarozzi, pesante e sicura, ben rizzata.

Storia della Marina e Ricordi

Posted on : 02-11-2008 | By : Luigi | In : Racconti di Mare

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