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La Filibusta e le Navi Corsare.
Con lo sviluppo degli imperi coloniali spagnolo e portoghese nei secoli XVI e XVII, “prese il largo” la filibusta, banditismo marittimo, contiguo alle guerre di corsa favorite dai governi francese, inglese ed olandese preoccupati dal dominio iberico sui mari.
Le sterminate coste delle colonie del Nuovo Continente erano troppo lunghe per essere difese dalle galee e caravelle armate. Lì s’insediarono i filibustieri, chiamati anche “Fratelli della costa”. Gli attacchi alle navi spagnole, e poi anche portoghesi, avevano lo scopo della rapina, oppure quello di deviare i vascelli carichi di tesori americani verso le rotte dei loro Paesi nord – europei. Lo scenario degli assalti via via si spostò anche verso i mari prospicienti le coste dei Caraibi.Le numerosissime isole caraibiche si prestavano bene alle imboscate. L’assalto doveva avvenire prima che i galeoni si riunissero in convoglio (in convoglio le navi spagnole sapevano fronteggiare meglio le navi pirate dei filibustieri). Inoltre non mancavano i saccheggi negli scali portuali in cui venivano accumulate le merci destinate all’imbarco sulle navi coloniali iberiche. I rapinatori filibustieri intrapresero anche la conquista di talune isole delle Antille, quelle più strategiche per i loro attacchi. C’era tra di loro un accordo (“fratellanza”). Molti nuovi filibustieri ottennero, dai rispettivi governi, la patente di corsari al servigio del re (la patente talvolta era falsificata). La patente era importante; in caso di sequestro da parte degli equipaggi iberici al corsaro era concessa la possibilità del riscatto, cioè di essere liberato se il suo governo pagava un forte compenso; mentre il filibustiere o andava in galera o veniva appeso…in cima all’albero più alto. Talvolta i corsari riscattati ed i filibustieri che avevano già scontato la pena della galera, venivano sbarcati sulle isole più piccole e remote delle Antille, condannati a sopravvivere con la caccia e la pesca.
Ci furono anche audaci assalti. Ricordiamo quello al governatore spagnolo di Panama (dove affluiva l’oro del Perù), assalto capitanato dal grande navigatore e corsaro Francis Drake nel 1572, e l’attacco del bucaniere francese Pierre Le Grand nel 1635 che riuscì a conquistare la nave ammiraglia spagnola. Ingenti furono i bottini di oro e preziosi. Molte Isole e Paesi costieri passarono dal dominio iberico a quello delle tre potenze: Inghilterra, Francia, Olanda.
La Francia nel Cinquecento era lacerata dai conflitti religiosi tra protestanti ugonotti ed i cattolici. Nel periodo più aspro della contesa (“la tragica -per gli ugonotti- notte di San Bartolomeo, poi la caduta della città ugonotta La Rochelle…) il re si lasciò convincere dal capo del partito ugonotto a intervenire con navi corsare per tentare di rompere il dominio dei traffici; lungo le rotte atlantiche colleganti il Vecchio e il Nuovo Mondo; il monopolio era nelle mani dei cattolici portoghesi e spagnoli. Ai corsari francesi si associano i corsari della regina Elisabetta d’Inghilterra ed “i pezzenti del mare” dei Paesi Bassi, in rivolta contro gli Asburgo. Tutti luterani, a detta degli spagnoli dell’Invencible Armada del re Filippo d’Asburgo. Per Olivier Abel (v. Nota finale) questi corsari nord europei avevano l’antica saggezza dei predatori, divennero artisti della navigazione, esploratori geografici, spregiudicati politici; restavano soli al cospetto di Dio, senza mai avere garanzia del domani; coltivavano una religiosità individualistica ed antiautoritaria. Abel ricorda che secondo il riformatore di Ginevria J.Calvin (Calvino) è lecito che l’individuo persegua il proprio interesse, purché sia rispettoso dell’equità e del bene comune; come operavano i “Fratelli della costa”: una forma di mutuo soccorso ante litteram. “Pirati calvinisti sul libero oceano, senza papa né re”. Il capitano spagnolo Samuel Bellamy, rivolgendosi ad un ufficiale britannico, suo prigioniero sul galeone, così lo apostrofò: “Voi derubate il povero con la copertura della legge, noi saccheggiamo il ricco con la sola protezione del nostro coraggio””; entrambi condannati ad inabissarsi con la nave spagnola al largo di Massachusetts, il 27 Aprile 1717.
Per i pirati era iniziato il lento declino, non avendo più la specifica protezione dei regnanti. Erano incalzati dalla caccia delle altre marinerie.
Nei momenti di crisi nei loro traffici commerciali alzavano a riva l’insegna della morte (un drappo nero col disegno del teschio e due tibie incrociate); ma solamente quando navigavano al largo delle “acque territoriali”. Lungo i litorali iniziava il servizio legale di guardiacosta. La macabra insegna era un monito per avere subito la resa dell’equipaggio della nave a cui i pirati si avvicinavano. Pirati spietati con i marinai che opponevano resistenza, clementi e tolleranti con gli altri.
Nel commercio avevano acquisito uno spiccato senso dell’economia.
A terra i pirati manifestavano di essere inclini ai piaceri della carne, ma tolleranti, anche nei rapporti sociali col diverso, quale che fosse il colore della pelle. Erano diventati filibustieri anche taluni indiani d’America ed i negri delle coste africane. Accettarono di buon grado anche la formazione della confraternita “Le Sorelle della costa!”
“Il filosofo ed economista Adam Smith (1723-90) teorizzò la mano invisibile che fa dei meccanismi di mercato la base della convivenza civile.
In onore di Capitan Hook, il terribile nemico di Peter Pan, potremmo dire: il suo uncino ha permesso che, sulla tolda della nave pirata si sperimentassero modi di associazione e perfino garanzie democratiche. L’umanità ha raccolto i frutti del duro lavoro e del coraggio degli uomini di mare di tutte le marinerie, nella lotta impari contro le forze della natura: venti violenti e mari tempestosi, bonacce da sfinimento e malattie micidiali. A terra erano chiamati schiuma di mare, pezzenti, avanzi di galera; ma grazie alla loro arte nautica e abilità marinaresca, scoprendo nuovi mondi hanno indicato, con le loro nuove rotte, le vie del progresso.
Nozioni tratte da Wikipedia e da un articolo del filosofo Guido Giorello -Corriere della Sera del 19-9- 2009- il quale commenta uno studio dello scrittore francese Olivier Abel.