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Il calendario.
Si fa derivare, questa denominazione, da Calendarium che designava presso i Romani un libro commerciale nel quale si annotavano gli interessi che si maturavano il primo giorno (calende) di ogni mese sui capitali dati a prestito. Come regola pratica di computo del tempo il calendario può avere come unità di misura il giorno, il mese del ciclo delle fasi lunari, l’anno tropico che raggruppa le quattro stagioni. Il calendario si trasforma nei secoli e nei millenni a seconda del grado di civiltà e degli interessi dei vari popoli. Sicché si hanno calendari dei popoli primitivi dell’America (Messicani, Maya, Aztechi); dell’estremo oriente (cinese e giapponese); dell’Asia (indiano, iranico, persiano, armeno); calendari semitici (mesopotamico, ebraico), egiziano, copto, greco e romano antico. Diremo di quest’ultimo cui si lega il nostro attuale calendario, in uso presso quasi tutti i popoli civili.
Sembra che il calendario romuleo avesse per unità fondamentale l’anno di dieci mesi con aggiunta periodica di qualche mese per accordarlo col ciclo stagionale. Fu riformato da Numa Pompilio che adottò, con alcune correzioni, il calendario greco, così che l’anno si compose di 12 mesi della durata complessiva di 355 giorni (dispari, secondo l’uso augurale!) e quindi con l’aggiunta dei mesi di gennaio e febbraio che mancavano nel calendario precedente. Per riportare poi il periodo annuale in accordo col ciclo stagionale (365 giorni e 1/4 circa) s’intercalava dopo il 23 febbraio, in anni alterni, un mese (mercedonio) di giorni variabili nel numero. Decideva, in tal senso, il Consiglio dei Pontefici, peraltro abusando di tale facoltà per motivi diversi da quelli cronologici.
L’anno risultava di 366,5 giorni. Col trascorrere dei secoli l’imperfezione di questo calendario diventò rilevantissima, rispetto alle date astronomiche (una differenza di 90 giorni circa, ai tempi di Giulio Cesare, tra le date ufficiali e quelle astronomiche). Su suggerimento del matematico alessandrino Sosigene il pontefice massimo Giulio Cesare nell’anno 708 di Roma (46 a.C) operò la riforma del calendario: in quell’anno (detto anno della confusione) furono inseriti oltre al mercedonio di 23 giorni altri due mesi (tra novembre e dicembre); fu considerato l’anno tropico di 365,25 giorni e pertanto, dopo tre anni di 365 giorni, veniva considerato un anno di 366 giorni.
Il giorno in più fo inserito tra il 23 e il 24 febbraio e fo chiamato bis sexto Kalendas Martias perché ripeteva il sesto giorno precedente le calende di Marzo, donde il nome di anno bisestile dato all’anno di 366 giorni. Il calendario giuliano è tuttora seguito dalla Chiesa cristiana russo-ortodossa. La reale durata dell’anno tropico è di 365,2422 mentre il calendario giuliano considerava 365,25. La differenza è 0,0078 giorni, poco meno di 0,01 (un centesimo di giorno); differenza insignificante per qualche secolo, ma che finì per diventare sensibile dopo molti secoli. Così, mentre all’epoca del Concilio di Nicea (325 d. C.) l’inizio della primavera cadeva il 21 marzo (ai tempi di Cesare si riteneva cadesse fra il 25 e il 26 marzo) nel 1582, cioè dopo 1257 anni, cadde l’11 marzo. Non a caso Dante nel 1300 scriveva nel Paradiso XXVII 142/143… prima che gennaio tutto si sverni / per la centesma ch’è laggiù negletta… facendo presente l’opportunità della riforma del calendario.
Nel 1582 papa Gregorio XIII, secondo un piano elaborato da Luigi Giglio (Lilius), medico e astronomo calabrese, promulgò la nuova riforma del calendario, ordinando che si sopprimessero intanto 10 giorni, passando dal 4 ottobre 1582 al 15 ottobre e stabilendo i giorni bisestili secondo la riforma giuliana (gli anni divisibili per quattro) escludendo gli anni secolari (che sono anni comuni, non bisestili) ma riconsiderando bisestili gli anni secolari quadricentenari. L’anno tropico del calendario gregoriano è considerato di 365,2425, con un errore di un giorno ogni 33 secoli circa. Questa lettura, in gran parte, è stata tratta dal libro del prof. Giuseppe Severino di Astronomia nautica (edizione CEDAM).
La meridiana.
Una meridiana è formata da un piano verticale orientato per Est-Ovest, da uno stilo o gnomone e da linee orarie: si veda la figura del retro copertina del libro. Le linee orarie, di colore rosso, hanno origine dal centro del particolare goniometro da cui si erge lo stilo che è nel piano meridiano, inclinato verso il basso dell’angolo (90° < φ) rispetto al piano verticale (φ: latitudine del luogo). Con tale inclinazione lo gnomone è parallelo all’ asse polare terrestre. Lo stilo è individuabile dal colore rosso della sua estremità.
Tra le linee orarie fondamentale è quella centrale, verticale: la meridiana che raccoglie l’ombra dello stilo nell’ istante il cui il sole transita, alle nostre latitudini, al meridiano superiore del luogo verso Sud (v. figura in alto). Le due figure in basso sono il retro della stessa tavola verticale; vi si nota lo gnomone inclinato verso l’alto dell’angolo (90 < φ) rispetto al piano verticale, sempre nel piano meridiano; questa faccia della tavola è rivolta verso Nord e raccoglie i raggi solari dal giorno dell’equinozio di primavera (20 o 21 Marzo) fino all’equinozio di autunno (23 o 22 settembre), dal sorgere e durante le prime ore del mattino ed in quelle del pomeriggio avanzato fino al tramonto.
La lettura dell’ora si fa dopo aver individuato l’ombra dello gnomone, generalmente interpolando tra due linee orarie. Osservando la figura in alto: ora solare tv” = 10 h 55 m ; l’ora antecedente (del mattino) è tv’ (figura in basso a sinistra) 6 h 50 m ; l’ora pomeridiana (P.M.) tv”=4 h 49 m , cioè pari a 16 h 49 m , letta sulla figura in basso a destra. L’approssimazione nelle letture è stimabile in 4 o 5 minuti. Le letture sono del giorno 21 Giugno, solstizio estivo. Le corrispondenti ore legali, o del fuso, sono: ora legale = tv + ε + (λ f – λ) + 1 h ; ora del fuso = tv + ε + (λ f – λ); primavera – estate autunno – inverno , equazione del tempo, si legge nella tabella (v. oltre) in funzione della data, interpolando. (λf – λ) è la correzione del fuso: distanza del meridiano del luogo, di data longitudine λ, dal meridiano centrale del fuso λf (l h ,2 h , 3 h … fino a 12, + se Est, – se Ovest).
La meridiana della figura è stata costruita nel punto φ = 39°11′ N, λ= 8° 15′ E circa; il valore di λ in ore e minuti è 0 h 33 m . Pertanto: (λ f – λ) = (1 h – 33 m ) = 27 m . Ricordiamo che 1° = 4 minuti; 15′ = 1 minuto e che la località si trova nel fuso 1 h E. La tratta dalla tabella, per il 21/6, è + 2 m . Corrispondenti ore legali, ordinate nel tempo: 8 h 19 m 12 h 24 m 18 h 18 m Costruzione delle linee orarie. Ricordiamo che 1 h = 15°. Le coppie di linee orarie simmetriche (v. fig. in alto) sono: XI-I; X-II; IX-III; e così via. Esse sono lontane, angolarmente, dalla linea meridiana centrale, dell’ angolo α determinabile con la formula: tan α = cos φ ∙ tanP; P = 15°(1 ) per la prima coppia; 30°(2 ) la seconda coppia; 45°(3 ) per la terza …
Esempio numerico: per φ = 39°11′ gli angoli risultano: 11,7° 24,1° 37,8° 53,3° 70.9° 90°. Per le figure sottostanti prosegue la successione dei valori: 109,1° (coppia V A.M. e VII P.M.); 126,7° (coppia IV A.M. e VIII P.M.).
Nota. Lo studente che conosce la sfera celeste sa ricavare la relazione di α considerando il triangolo sferico rettangolo avente i vertici: Pcn, Z (zenit in cui l’angolo è 90°), V (punto d’intersezione dell’orario P con il l° verticale Est-Ovest). Lunghezza dell’ombra e le stagioni.
Il lettore avrà notato, nelle tre figure, la presenza di tre “soli”: giallo per indicare “quello” del solstizio estivo (2116), “verde” per “quello” del solstizio invernale (22/XII), “giallo-verde” per gli equinozi (2113 e 23/9). Sulla meridiana rivolta a Sud, con gli stessi colori sono state tratteggiate le curve descritte, nelle ore, dalle estremità delle ombre dello stilo nei quattro giorni principali sopra ricordati. In particolare: due coniche nei due giorni solstiziali e una retta nei due giorni equinoziali.
Un’approssimativa interpolazione sull’ombra, nei giorni intermedi, consente di risalire al mese. Nella figura in alto è evidente il giorno 21/6. Per una data lunghezza l dello stilo, la lunghezza dell’ombra a mezzodì (XII, istante del transito del sole al meridiano), è data da: l∙sen α + l∙cos α / tan(φ - δ). Esempio: per l =16 cm, le tre lunghezze, per le tre epoche, sono: 54,1 cm (21/6), 25,3 cm (equinozi), 16,5 cm (22/12). I due termini della relazione danno le lunghezze dei cateti dei due triangoli rettangoli in cui viene scomposto il triangolo CEO (C pedice dello gnomone, E apice, O estremità dell’ombra) abbassando da E la normale al piano della tavola. Non ci dilunghiamo con altre formule più complesse perché le imperfezioni strumentali (ne ricordiamo solamente due: l’imperfetta verticalità della tavola, comunque controllabile col filo a piombo; l’imprecisa orizzontalità della base – rosa dei venti – verificabile con la livella a bolla) sono tali per cui è consigliabile controllare che i risultati dei calcoli siano vicini alle risultanze empiriche.
Rosa dei venti.
È la superficie di appoggio, tramite scassa, della meridiana. Ricordiamo come s’individua la linea Sud-Nord. Si mette un’asta perfettamente verticale e si insegue, segnandola, l’ombra più corta. Ci deve essere una pratica coincidenza: l’ombra più corta si ha all’ora legale o del fuso: ora legale = 12 h + ε + (λ f – λ) + 1 h ; ora fuso = 12 h + ε + (λ f – λ). L’epoca più favorevole è uno dei giorni prossimi al solstizio, invernale o estivo. Sulla rosa sono visibili i soli giallo e verde nelle direzioni in cui sorgono e tramontano; la distanza angolare da Est e da Ovest è l’Amplitudine (Ampitudine calcolabile con la formula senAmpl = sen 23°26’30″ / cos φ).
Gli stessi soli compaiono sulle due superfici della meridiana ed indicano le ore del sorgere e del tramonto; ore calcolabili con la formula cosP = -tan φ ∙ tan 23°26’30″. Negli equinozi (“sole” giallo- verde) il sole sorge a Est e tramonta a Ovest, 6 ore prima e 6 ore dopo l’ora del transito al meridiano. Per ogni epoca si prescinde dalle dimensioni del sole, ritenuto puntiforrne, dalla rifrazione astronomica, dalla elevazione dello strumento rispetto alla quota zero. Sullo sfondo blu della rosa dei venti sono state disegnate due costellazioni fondamentali per l’orientamento: la Croce del Sud (circumpolare invisibile alle nostre latitudini), non lontana dal polo celeste sud, e l’Orsa Maggiore.
Il prolungamento, per 5 volte, della distanza delle ultime due stelle del “Carro”, Merak e Dubhe, individua la stella Polare, vicinissima al polo celeste nord. Dall’orientamento di tale prolungamento rispetto alla congiungente Polare-Zenit dell’osservatore si può risalire all’individuazione dell’ora in qualsiasi istante della notte, in φ nord, grazie al moto apparente delle stelle.
ε equazione del tempo (nei giorni 6 e 21 di ogni mese, circa)
Nei discorsi della meridiana e della rosa dei venti sono racchiusi molti concetti di cosmografia: ecco un’esercitazione efficace; aiutare gli allievi di buona volontà a costruire l’orologio solare, un po’per volta, dal solstizio invernale a quello estivo. Diceva un poeta arabo che l’uomo occidentale ha cominciato a perdere il contatto con la natura da quando, affrettando il suo passo, si è allontanato dal ritmo lento dello scorrere delle ore e del graduale cambiamento delle stagioni, dalla visione delle stelle e dall’osservazione del mutamento ciclico delle costellazioni del firmamento, con astri che vanno al tramonto eliaco e dopo uno o due mesi riappaiono, declinano, si riavvicinano al sole: mistero e poesia del Creato.