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Il cielo appare di forma sferica. Ciò si deve al fatto che, alla semplice visione, gli astri appaiono situati tutti alla medesima distanza, sia pure grandissima, dall’osservatore. È una limitazione della nostra vista. Ora sappiamo della diversità, assai rilevante, esistente fra le distanze dei vari astri dalla Terra. Gli antichi ritenevano la sfera celeste una sfera di cristallo; attenendosi alle apparenze gli astronomi dell’antichità non esitavano a ritenere le
stelle, cioè quegli astri che apparivano immobili gli uni rispetto agli altri, come collocate – stelle fisse – in questa sfera materiale che si riteneva poi animata da rotazione diurna uniforme attorno all’asse del mondo.
Proiettati su questa sfera si osservavano anche i moti propri dei pianeti:
Luna, Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno. Nel 2.000 a.C: circa, le prime acquisizioni scientifiche sono documentate dalla scrittura dei Sumeri e degli Egiziani: su tavolette di argilla, incise e poi cotte in Mesopotamia; su foglie di papiro in Egitto. Gli astronomi erano sacerdoti che disponevano, per le loro osservazioni, di alte torri (si pensi alla biblica torre di Babele o Babilonia) sulle cui sommità si celebravano le nozze tra il Cielo e la Terra. Gli astronomi, inoltre, erano i gelosi « custodi» del Tempo.
Gli astronomi greci si giovarono delle osservazioni degli arabi antichi, osservazioni importanti per prevedere le temute eclissi o per formulare auspici (aruspici) per il potente. Occorreva dare una spiegazione dei moti dei pianeti. Presso le scuole filosofiche greche (si pensi a Platone, Aristotele, Eudosso, Callippo) si fece urgente la sistemazione geometrica, o geometrico-cinematica, del mondo, giacché, reputandosi regolari o « perfetti » taluni moti e traiettorie, prima fra tutte la circolare, si trattava di combinare opportunamente questi moti regolari (circolari) in maniera da avere come risultato il moto irregolare dei pianeti. La Terra si riteneva sempre immobile al centro dell’universo. In una prima concezione venne assegnata una sfera di cristallo, oltre a quella delle stelle, ad ogni pianeta: in totale otto sfere. Successivamente, grazie agli apporti fondamentali degli astronomi Ipparco e Tolomeo e di altri la teoria delle sfere fu in gran parte sostituita dalla teoria delle circonferenze (deferente, epiciclo), degli eccentrici ed equanti, ecc. Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, ognuno descriveva un circolo (epiciclo) in un dato tempo, e simultaneamente, in un altro periodo di tempo, il centro dell’epiciclo descriveva un ampio circolo (deferente) intorno alla Terra. Tolomeo condensò in 13 libri tutte le conoscenze astronomiche antiche; l’opera fu chiamata La Massima che, con la preposizione araba « al» divenne Almagesto. Prima di Tolomeo, lpparco compilò il primo catalogo stellare con α e δ. Non mancarono tra i greci stessi coloro che avanzarono l’intuizione di spostare il centro dell’universo della Terra: Filolao l’avrebbe posto in un Fuoco centrale o Trono di Zeus, Eraclide pontico vicino al Sole, Aristarco di Samo (il Copernico dell’antichità) addirittura al centro del Sole. Furono voci inascoltate o isolate. C’è da aggiungere ciò che disse Plutarco su Platone molto anziano: « si pentiva grandemente di aver collocato la Terra nel mezzo dell’universo, in luogo ad essa non conveniente ».
L’astronomia medievale si conservò sostanzialmente tolemaica anche se si arricchì dei contributi degli arabi nel campo delle osservazioni celesti e nel campo delle applicazioni della matematica e della fisica all’astronomia. Uno per tutti: Albatenio.
La dottrina tolemaica fu ripresa da Dante ed esposta in modo dotto nella Divina Commedia. Fu l’ultimo, ma formidabile suggello all’acquisizione della più completa autorità. Autorità che si impose nell’ambito teologico-ecclesiale. Quando Galileo scoprirà i pianeti medicei (leggi satelliti) rotanti intorno a Giove e non intorno alla Terra suscitò scalpore; ma l’irritazione crebbe quando disse di vedere sulla superficie del Sole le macchie solari: inconcepibile, per la incorruttibilità aristotelica dei cieli; le macchie dipendevano dai difetti del suo cannocchiale… A Galileo va il merito di aver praticato un nuovo metodo di indagine scientifica. Siamo fra il Cinque ed il Seicento, in un’era di stasi politica o quasi ma la concezione moderna della scienza, per merito suo, sorge in fretta. Lui mise la scienza della natura su una strada per cui era possibile avanzare a poco a poco, in collaborazione, ottenendo risultati sempre parziali e sempre rivedibili, ma controllabili, correggibili e componibili tra loro, secondo un procedimento sicuro basato sul metodo sperimentale.
Venne a vivere ed a studiare in Italia, in quel periodo del Rinascimento, Nicolò Copernico, canonico polacco nato a Thor nel 1473. Studiò e visse a Bologna ed a Roma. Ritornò poi in Polonia. Studiando il sistema solare cominciò a formulare, molto cautamente, sottoforma di ipotesi, la teoria di porre al centro dell’universo il sole. Nell’anno della sua morte, 1543, è pubblicata la sua famosa opera De Revolutionibus orbium caelestium. Fu tale l’effettiva portata scientifica del lavoro (Copernico illustra la semplicità delle spiegazioni dei moti dei pianeti mettendo al centro il Sole «generoso dispensatore di luce e colore»e dando la rivoluzione ai pianeti, Terra compresa con in più il moto di rotazione, disfacendo quel mirabile quanto complesso castello di sfere e circonferenze di Tolomeo) che autorità protestanti, ancor prima delle autorità cattoliche, manifestarono apprensioni per il contrasto in cui l’ipotesi dell’immobilità del Sole, al centro del mondo, pareva trovarsi con l’enunciato letterale di alcuni passi delle Scritture. Queste difficoltà portarono al conflitto violento tra i sostenitori dei «Due massimi sistemi del mondo»(nome di un famoso trattato di Galileo). Le due ipotesi, geocentrica ed eliocentrica, presero a contendersi il campo; da una parte i seguaci della tradizionale fisica aristotelica, dall’altra gli iniziatori del nuovo spirito scientifico. Un passo decisivo in questa direzione fu compiuto dall’astronomo tedesco Giovanni Keplero (1571- 1630) con la scoperta delle tre leggi fondamentali del movimento dei pianeti intorno al Sole. Grazie alle sue tre leggi Newton potrà costruire il suo meraviglioso sistema matematico dell’universo. Eppure Keplero si presenta come un pensatore a cavallo tra la vecchia e la nuova età. Da buon astronomo egli cerca l’esattezza matematica delle leggi: ma quando si tratta di indagare il loro fondamento, preferisce ricorrere ai concetti tradizionali. Una mistica quasi magica dei numeri lo affascina (quando pubblicò i risultati della terza legge egli pensava che il rapporto fra le velocità massime e le velocità minime dei pianeti nelle loro orbite fosse armonico… 4/5 per Saturno, 5/6 per Giove e così di seguito… individuando la terza maggiore, la terza minore dell’armonia musicale udita solamente dal Sole. Keplero non ha mai trascurato l’astrologia da lui considerata la sorellastra maggiore e generosa, perché sostentatrice, ma un po’ pazza dell’astronomia, sorella minore). Ciò non toglie che, in virtù delle sue tre leggi e delle sue pazienti ed accurate osservazioni, Keplero possa definirsi il fondatore dell’astronomia scientifica.
Galileo scrive a Keplero confessandogli di essere divenuto già da anni un copernicano convinto. Keplero gli manifesta compiacimento per le idee comuni. Sulla stessa linea di Galileo è Giordano Bruno, filosofo e poeta condannato, per eresia, al rogo dal tribunale ecclesiastico dell’Inquisizione. Galileo dovette abiurare per vedersi risparmiata la vita. Visse gli ultimi anni recluso nella villa di Arcetri, presso Firenze, dove ora c’è un grande osservatorio astro fisico solare.
Nel conflitto sui «Due massimi sistemi»un ruolo particolare ha avuto il grande astronomo Tycho Brahe, di origine svedese. Egli ebbe dal governo danese l’isolata di Huen dove costruì un osservatorio. Numerosissime sono state le sue osservazioni, in particolare quelle su Marte. Poi si trasferì in Boemia; quando Tycho abbandonerà, per l’età, l’osservatorio boemo gli subentra Keplero che può giovarsi delle osservazioni di Brahe. Questi non riconobbe il sistema copernicano, forse per le difficoltà bibliche, forse per talune argomentazioni imperfette di Copernico. Formulò una sua teoria, ibrida: riconobbe il moto dei pianeti intorno al Sole, ma non quello della Terra, probabilmente perché non aveva ancora scoperto l’ellisse parallattica. Ma non poteva disporre di strumenti tanto precisi da svelare il piccolissimo angolo di parallasse. Non ci riuscì nemmeno Galileo al quale Keplero si era rivolto per lo stesso motivo. La cosmografia di Copernico trionfò con Newton, grazie agli apporti di Keplero e di Galileo (.. all’Anglo tanta ala distese… ). Lo scienziato inglese Isacco Newton ebbe la grande intuizione di mettere in correlazione la forza di un grave (… la famosa mela…) sulla Terra con la forza con cui la Terra stessa attrae la Luna e con la forza – universale – con cui il Sole attraendo i pianeti li fa girare nelle orbite ellittiche kepleriane: la forza – diretta mente proporzionale al prodotto delle masse dei due corpi celesti ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza dei centri – e la sua variabilità è proprio quella che giustifica le variazioni di velocità del pianeta nella sua orbita. Tutto ciò ed altro I. Newton lo scrisse nel 1687 nell’opera fondamentale Philosophiae naturalis principia mathematica. Newton seppe dare anche una spiegazione scientifica al fenomeno delle maree e ad altri vari fenomeni. Prima di morire, al culmine della gloria (fu nominato baro netto della Regina) Newton disse « se ho potuto vedere più lontano degli altri lo devo al fatto che salii sulle spalle di giganti» (bella metafora per alludere a Galileo, Keplero e altri che lo precedettero).