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a cura del
Capitano Sup. Direzione Macchina e Capitano lungo corso
Arnaldo MARGIOTTA
Nel 1946 ero imbarcato da allievo su un vecchio cargo, il “Tritone”, diretto a Beirut. Vento fresco da NE, forza 6, onde di 2 o 3 metri, in aumento. Il bollettino meteo di Malta dava mare agitato (rough), tendente a molto agitato (very rough). Non c’era tra gli ufficiali apprensione alcuna. Due mesi prima avevamo preso ben altro mare e vento nella Guascogna! Al crepuscolo della sera stavo controllando la bussola con rilevazioni azimutali, quando mi accorgo che la nave sbanda: 1 , 2 , poi 3 gradi sulla dritta. Domando al Primo Ufficiale quale poteva essere la causa. La risposta, con noncuranza, è “forse i macchinisti fanno dei travasi, ma non preoccuparti!”. Sale sul ponte il comandante; poco dopo anche il direttore di macchina; i due si appartano per confabulare qualche minuto, ma senza apparente preoccupazione. Intanto la nave continua a sbandare e ad immergersi. Le onde in coperta si fanno più aggressive, la nave tiene la rotta, ma con difficoltà; il comandante si limita a dire al timoniere “attento a non traversarti”.
All’improvviso il Primo, eseguendo un ordine del comandante, suona campanelli e fischio; poco dopo il comandante annuncia “abbandono nave!”. Mi viene dato l’ordine di andare negli alloggi dell’equipaggio per ripetere a voce l’ordine di “ abbandono nave!”. Nel giro di pochi minuti: approntata la motobarca di dritta, per essere ammainata. Il “marconi” si avvicina al comandante e lo avverte che era riuscito ad inviare solamente il segnale SOS radiotelegrafico. Passano ancora una quindicina di minuti: la nave continua ancor più a sbandare e ad immergersi. La macchina si ferma. Incrocio il Primo che mi rifila il pacco dei “Libri di bordo” custoditi in un avvolgimento impermeabile. Mi dice di non abbandonarli mai e di riconsegnarli solamente a lui o al comandante. Uno alla volta imbarchiamo sulla lancia di salvataggio; il comandante, ancora sul ponte lance, tarda ad imbarcarsi; finché, dopo aver fatto una specie di saluto verso poppa (ma la bandiera non c’era) si avvia a saltare sulla motobarca. Appena toccata la cresta dell’onda la lancia di salvataggio si libera dai ganci a scocco; il motorista comincia ad avviare il motore ed il nostromo fila le barbette.
Io ero in uno stato di confusione e di eccitazione. Non vedevo però volti molto preoccupati in giro, ad eccezione di quelli del mozzo e del giovanotto. Ci allontaniamo dalla nave poco più di 1 miglio e poi a lento moto, gli giriamo attorno due o tre volte. Si notava, ormai, solamente una sagoma sempre più scura e sempre più sommersa, la poppa cominciava a scomparire; per qualche minuto la prua fu sollevata. Avvertivo un’atmosfera attonita, muta o quasi; ogni tanto sentivo parole del tipo “cedimento strutturale”. Non passa più di un’ora: la nave affonda. È difficile esprimere la tristezza, l’emozione di quel momento.
Due giorni dopo l’equipaggio è davanti all’Autorità marittima del porto di Limassol o di altra cittadina cipriota, non ricordo bene. Prima di entrare per l’interrogatorio i due Primi, di coperta e di macchina, s’intrattengono a parlare con l’uno e con l’altro membro dell’equipaggio. Il 1° di coperta si avvicina con espressione interrogativa ed inquieta, come per sondare i miei pensieri. Oso dire “che strano che una nave che aveva da poco più di due mesi superato i collaudi del Registro, per la riconferma della “classe”, possa aver avuto un cedimento strutturale così grande ed improvviso in un mare non proprio tempest!”. Ma l’ultima parola non la concludo perché il mio diretto superiore mi blocca subito: “Ciò che pensi tu non interessa a nessuno e te lo terrai stretto tra i denti” sibila con voce dura e sguardo tagliente. Incasso e annuisco. Rimasi più pensieroso di prima fino a quando, salutando il motorista, col quale ero un po’ in confidenza, sento che mi sussurra: “le navi che hanno da poco superato i collaudi valgono di più…”