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APPROFONDIMENTI E INTEGRAZIONI AL CAPITOLO XI
PIANIFICAZIONE ED ESPERIENZE DEI COMANDANTI
5. DEL PILOTAGGIO.
PARTE I
A cura del Pilota Comandante Capitano Lungo Corso
Antonio Massa
Riferimenti storici. Si suppone che il pilotaggio sia nato in Cina migliaia di anni fa. In Cina perché i Cinesi sono stati i più antichi e abili navigatori. Partivano in cerca di commerci con le loro “navi” e si assentavano per un anno lasciando nei villaggi in riva al mare o sulle sponde dei fiumi le persone più vulnerabili: vecchi, donne, bambini.
I villaggi erano spesso visitati da pirati contro i quali nulla poteva la popolazione. Si dovette perciò trovare un sistema di difesa peraltro molto geniale ed efficace. Furono costruiti, a difesa dei villaggi, delle barriere con sassi ed altro materiale appena sotto il livello dell’acqua, barriere simili a labirinti, non visibili dalle navi pirata, le quali nell’intento di raggiungere il villaggio vi s’incagliavano con gravi danni e spesso con la perdita totale. Al rientro delle navi amiche era necessaria però che qualcuno del villaggio andasse loro incontro e le guidasse attraverso le barriere subacquee fino alla riva. Quel qualcuno fu il primo pilota della storia o della leggenda.
Nel più antico testo di leggi in materia marittima, le leggi di Hammurabi re di Babilonia nel 2285 a.C., veniva stabilito il compenso corrisposto al pilota in due sicli (1 siclo = gr. 8,41 di argento) e venivano pure stabilite le sanzioni a cui il pilota andava incontro per danni o perdita della nave a lui affidata.
Il Consolato del Mare, raccolta di norme in uso nei paesi mediterranei, presumibilmente datato 1400, prevedeva addirittura il taglio della testa del pilota in caso di danno o naufragio della nave. La sentenza veniva decisa collegialmente dal Capitano, dall’armatore e dal padrone delle merci; questo senza dover render conto alla Giustizia.
Prima di parlare di qualche pilotaggio difficile, dico subito che gli avvenimenti casuali che mettono a rischio la manovra di una nave nelle acque portuali e zone limitrofe sono: avaria alle macchine, al timone, ai verricelli, salpa ancore, rottura dei cavi dei rimorchiatori, burrasca improvvisa, tromba d’aria, nebbia. Le doti del pilota sono: non perdere la calma, analizzare le varie soluzioni e scegliere quella giusta, tutto questo in frazioni di secondo, per portare a termine la manovra senza alcun danno per la nave, per l’equipaggio e per le strutture portuali. Al pilota è richiesta tempestività nella decisione che a volte è decisione sofferta perché l’unica manovra giusta comporta rischio. Pilotaggi prevedibili si hanno quando nel porto scalano navi già note di cui si conosce potenza delle macchine, qualità evolutive, la reazione delle sovrastrutture al vento e, non ultimo, l’equipaggio. Una difficoltà iniziale nella professione del pilota è salire o scendere dalla nave. Passare dalla pilotina alla nave, o viceversa, afferrando (o lasciando) la biscaglina, scala a tarozzi penzolante sulla murata della nave, richiede, in condizioni di vento forte e di onde alte metri, intuito, tempismo e attitudine atletica. La nave e la pilotina reagiscono, agli elementi meteo-marini, in modo completamente differente. Il pilota deve saper cogliere l’attimo favorevole per il trasbordo, altrimenti corre il rischio di schiacciarsi contro la murata della nave.
A Livorno i venti più pericolosi sono il libeccio e lo scirocco. Il libeccio soffia per giorni e raggiunge, nelle raffiche, 100Km/h. Lo scirocco è insidioso perché, pur essendo meno impetuoso, è accompagnato da fortissima corrente concorde.
Qualche pilotaggio impegnativo. Era una brutta notte d’inverno; verso la mezzanotte, mentre il libeccio aumentava di ora in ora, ero incollato alla radio ed intuivo che qualche emergenza si sarebbe manifestata. E, difatti, poco dopo, una voce concitata, in cattivo inglese, chiese soccorso: era un traghetto-merci libico ormeggiato con le ancore a mare e la poppa verso terra con i cavi tutti strappati; le ancore aravano, la nave si traversava al vento, incombeva il pericolo di finire su una scogliera insidiosa a pochi metri di distanza. Salii a bordo, feci passare i cavi ai rimorchiatori (e non fu cosa da poco); ma ben presto iniziammo a salpare le ancore in modo da trasferire la nave in altro ormeggio. Più che una manovra fu una battaglia; a bordo regnava non la confusione, il caos. Allora: un ordine alla volta, con calma, e mi assicuravo che fosse ben capito ed eseguito. La forza del vento era tale che gli uomini di prua non riuscivano a tenersi in piedi, le comunicazioni tra loro ed il ponte di comando praticamente incomprensibili perché il vento, soffiando nelle radio portatili, produceva un sibilo assordante. Durante il salpamento delle ancore la nave, con la prua altissima e perciò maggiormente esposta al vento, brandeggiava in modo pauroso mettendo in grave difficoltà anche i rimorchiatori che tentavano di sostenerla. Un’ancora, finalmente, fu salpata! Rimaneva l’altra con 4 lunghezze di catena; ma a questo punto un’altra brutta sorpresa: il verricello salpa ancore va in avaria. Fu lì che presi una decisione azzardata, che poi si rivelò la migliore. Feci sgomberare la prora da tutto l’equipaggio; tutti i rimorchiatori al tiro per assecondare le macchine indietro tutta per tentare di spedare l’ancora e poter trascinare la nave in acque meno pericolose. Sapevo che si correva il rischio della rottura della catena (col pericolo che qualche spezzone piombasse sulla prua) o dello scardinamento del verricello. Dopo un po’ mi accorsi che l’ancora, così violentemente sollecitata, mollò la presa sul fondo. Ci allontanammo da quel postaccio a gran fatica perché il vento era sempre impetuoso e l’ancora ogni tanto s’impigliava sul fondo. Portai finalmente la nave in una banchina sicura e ridossata. Alle prime luci dell’alba sbarcai e quando rientrai in sede non ebbi nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo perché mi raggiunse la notizia che il comandante era stato ricoverato in ospedale per infarto.
Una grossa portarinfuse è alla fonda in rada con grossi problemi al timone. Di lì a poco la prima avvisaglia di scirocco, il barometro precipita, le prime raffiche ed i primi piovaschi. Non tardò la chiamata dalla Capitaneria con l’ordine immediato di portare dentro la nave. Salire a bordo fu un vero problema poiché la nave, in pratica priva di timone, non riusciva a fare un minimo di ridosso alla pilotina. La giornata di dicembre ci portò subito la notte mentre lo scirocco rinforzava e la corrente ci sospingeva inesorabilmente verso le dighe. Violenti piovaschi toglievano a tratti la visibilità. L’incubo costante che mi ossessionava erano i cavi dei rimorchiatori che, per il forte mare, a volte venivano in bando e subito dopo alla massima tensione. Se uno di loro si fosse rotto sarebbe stato un vero dramma; una nave di quelle dimensioni e di cosi grande dislocamento avrebbe dato problemi difficilissimi, se non impossibili. Imboccammo la diga foranea a pochi metri dai frangenti! Ma il sollievo fu grande.
Ricordo con compiacimento la manovra, in perfette condizioni meteo, per portare in bacino di carenaggio una grossa petroliera lunga m 285, larga m 54,5; il bacino era largo m 56. Il lasco, dunque, da entrambi i lati del bacino, era soltanto di cm 75! Una massa del genere, anche alla minima velocità, quando tocca un ostacolo produce danni notevoli. Piazzai due rimorchiatori a prua, due a poppa, il quinto rimorchiatore, il più potente, lo sistemai dritto di poppa per smorzare l’abbrivo se la nave non avesse imboccato il bacino esattamente “sull’asse”. L’avvicinamento al bacino è il momento di massima tensione anche perché, con una nave di quelle dimensioni, dalle murate altissime, si lavora alla cieca: i rimorchiatori non sono visibili dal ponte di comando; bisognava ricordare il loro nome e la loro posizione per impartire ad ognuno gli ordini. È invisibile dal ponte anche la porta del bacino. È necessario basarsi sulle indicazioni e valutazioni fornite dal personale di terra. Mai usare la macchina indietro perché l’effetto laterale delle pale (per elica destrorsa) porta la prua a dritta; traguardare costantemente la mira di terra; usare soltanto l’effetto contrastante del rimorchiatore di poppa. Il momento più critico si ha quando il bulbo e la parte stellata della prora stanno imboccando. In quel pilotaggio ebbi una sorpresa: date le dimensioni della nave, l’acqua contenuta nel bacino non riusciva a defluire all’esterno poiché non trovava sfogo, anzi la massa d’acqua “compressa” dalla nave tendeva a respingere la stessa fuori. Sono occorsi parecchi e poderosi colpi di macchina avanti per entrare completamente dentro il bacino. Mai poi, alla fine, la soddisfazione fu superiore alla pazienza, messa a dura prova.
Tra le 20.000 manovre eseguite nella professione, moltissime, le più, non hanno lasciato in me ricordi: tutto regolare, lavoro di routine. Mi viene in mente ora di una piccola e moderna nave passeggeri alla fonda in rada in attesa di entrare con le prime luci dell’alba. Sento la voce tesa del comandante; mare e vento fortissimo mi fanno riflettere: come salire a bordo? Parto ugualmente e con molta difficoltà salgo a bordo e porto dentro questa piccola nave. In quell’occasione ho “venduto fiducia” (come diciamo nel nostro gergo). Il comandante, estremamente commosso, al termine della manovra, mi ha abbracciato con forza. Avvertii che stava piangendo.
Il Canberra; un misto passeggeri-carico, inglese con più di 30 anni di servizio, ma sempre nave validissima. Proviene dall’Australia; è lunga m 250 e pesca 35’, il massimo consentito a Livorno; è alta come un palazzo. Ero giovane giovane, avevo da poco superato il tirocinio. Appena fuori le dighe, nella foschia mattutina, vidi a qualche miglio di distanza una sagoma bianca, enorme, maestosa. Nessuno sapeva nulla di essa, fuorché il nome. Salii a bordo col batticuore. Due eliche, un solo timone, macchina a turbina. Ciò significava estrema lentezza nell’inversione di marcia e tempi lunghissimi per avere la potenza richiesta. E poi dovevo superare un canale di pochissimo più largo della nave, una manovra al limite con prua e poppa ad una decina di metri dai moli durante l’evoluzione. Su quel ponte di comando immenso, tra il comandante e gli ufficiali altissimi, tutti più anziani di me, carichi di esperienza ed in perfetta uniforme (la marina inglese si distingue) tutti ubbidivano alla lettera i miei ordini (nei primi istanti rimasi attonito). Superato il disagio, condussi una manovra di grande prudenza perché non sapevo nulla di quella nave. Quando alla fine portai indenne la nave all’attracco il Comandante e gli ufficiali mi accerchiarono e mi strinsero la mano per complimentarsi.
Solo l’insistenza dell’amico Nicoli è riuscita a vincere, alla fine, il pudore di riferire queste mie note di cronaca (A.M.).
PARTE II
A cura del Pilota Capitano Lungo Corso
Giovanni B. Molinari
Circa 30 minuti prima di entrare nella zona di controllo del traffico la nave deve chiamare P.A.C. Livorno (Port Approaches Control) e comunicare i dati relativi a nave, carico, eventuali avarie e dati di navigazione: in pratica da quel momento la stazione P.A.C. prende la nave anche sotto controllo radar.
La nave in atterraggio a Livorno deve entrare in uno schema di traffico che, iniziando in una zona di precauzione (“precautionary zone”) a circa 4.5 M dall’imboccatura del porto (che diventa zona di separazione dopo 1.5 M) porta le navi fino all’imboccatura in una corsia a Sud, mentre la corsia a Nord rimane riservata al traffico in uscita. L’ultimo tratto di circa 1 M dall’imboccatura del porto è nuovamente considerato come “precautionary area” e ciò per permettere una maggiore libertà di manovra per poter meglio presentare la nave all’imboccatura o per poter imbarcare/sbarcare il Pilota nel caso si rendesse necessario per la nave ridossare la biscaggina.
Il controllo radar da terra continua anche durante la manovra in acque portuali, anche se meno attentamente, visto che a bordo è già presente anche il pilota. La nave o il pilota, una volta terminato l’ormeggio, informa il P.A.C. della fine manovra e comunica eventuali avarie o sinistri; con ciò ha termine il controllo.
Per le navi in partenza invece la procedura inizia con una chiamata V.H.P. circa un’ora prima della prevista partenza, comunicando una “messaggistica” simile a quella dell’arrivo.
Lasciando il porto e prima di sbarcare, il pilota chiama il P.A.C. informandolo dell’uscita della nave e da questo momento ricomincia il controllo vero e proprio sulla navigazione dell’unità fino a quando questa lascia la zona di controllo del P.A.C.
Questi sistemi di controllo del traffico non possono sostituire in alcun modo le capacità nautiche e di manovra del comando di bordo, che mantiene quindi in pieno ogni responsabilità ad esso attribuita.
È importante infine che gli ufficiali di bordo in comando di guardia siano a piena conoscenza dei regolamenti locali previa la dovuta consultazione delle carte e delle varie pubblicazioni nautiche.
Come si diventa piloti. Per partecipare al concorso per titoli ed esami, occorrono: 1) il titolo di Capitano di Lungo Corso; 2) età compresa tra 28 e 35 anni; 3) sei anni di navigazione in servizio di coperta su navi nazionali; 4) almeno un anno di navigazione col grado di 1° ufficiale; 5) requisiti fisici e psichici necessari per l’espletamento del servizio di pilotaggio (D.M. 21-12-1981); 6) nessuna condanna per reati dai quali sia derivata l’interdizione dai titoli o dalla professione marittima per oltre due anni; 7) la conoscenza della lingua inglese. Dalla commissione esaminatrice sono valutati titoli di merito per la graduatoria: a) il periodo di comando su navi mercantili; b) il periodo di navigazione (oltre l’anno) come primo ufficiale di coperta; c) il periodo di navigazione (oltre i sei anni); d) la media dei voti riportati nei due esami di Aspirante e di Capitano di lungo corso. La Capitaneria di Porto possiede il programma dell’esame orale.
G. B. M.
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Marina militare e Marina mercantile. Le due Marine appartengono a due diverse Amministrazioni dello Stato, rispettivamente Difesa e Trasporti; vediamo i punti di contatto.
Le navi mercantili devono far saper all’Amministrazione, tramite la società di armamento, la loro posizione alle ore 12.00 di ogni giorno, il porto di destinazione, la velocità. Il Comando in Capo navale (Cincnav) ha sempre sotto controllo la situazione delle navi ed è in grado di predisporre, nel caso in cui lo scenario degli equilibri militari mondiali mutasse sfavorevolmente, un piano di rifugi portuali sicuri ove destinare le navi italiane che si trovassero a navigare in zona o verso zone a rischio. Le navi mercantili possono essere temporaneamente militarizzate per il trasporto di truppe, merci o per supporto logistico alle navi militari.
Il Corpo delle Capitanerie di Porto (C.P.) della Marina militare esercita un controllo sullo stato di navigabilità della nave e sulle dotazioni di sicurezza, sorveglia sul tipo di carico, specialmente su quello pericoloso, ed interviene, con le motovedette della Guardia Costiera, per bloccare eventuali traffici illeciti: tratta di schiavi, commercio di emigranti, trasporto di materiali radioattivi, bellico ecc. Le motovedette, insieme ad altre navi militari, possono istituire, in casi di emergenza, blocchi navali davanti a zone portuali e costiere. Gli equipaggi italiani rispondono, in prima istanza, agli ufficiali delle C.P. in caso di violazioni di legge commesse a bordo, nell’esercizio delle loro funzioni. Il “libretto di navigazione”, documento indispensabile della Gente di mare, è rilasciato e rinnovato dalla C.P. Il personale della “Gente di mare” può essere precettato dall’Autorità marittima per salvataggio, operazioni di recupero …
L’Istituto Idrografico, ente della Marina militare, lavora a beneficio dei naviganti. Cura l’Idrografia nazionale e del Mediterraneo comprendente carte nautiche, portolani, elenco fari, radioservizi … ed ogni pubblicazione indispensabile alla condotta della navigazione (v. Cap. XII).
L’Accademia Navale di Livorno è, per molti diplomati che hanno superato il concorso, il punto di partenza di una carriera militare o la prima palestra di vita marinara per coloro che svolgeranno il servizio militare col grado di Guardiamarina.
Molto interessante! Grazie
M.Fazzini