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Lettura Andrea Doria

Posted on : 16-09-2012 | By : admin | In : Moderna

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APPROFONDIMENTI E INTEGRAZIONI AL CAPITOLO II

REGOLAMENTO PER EVITARE GLI ABBORDI IN MARE

Lettura: Andrea Doria, tragedia del mare: notte del 25 luglio 1956.

del Cap. Sup. L. C. Comandante della Compagnia Genovese di Armamento Sitmar Cruise.
 

Giuseppe Quartini

Il battello fanale di Nantucket, avamposto degli Stati Uniti verso l’Atlantico, situato in vicinanza delle secche dell’isola di Nantucket, è uno dei punti focali sulle rotte di navigazione del mondo ove transitano transatlantici, petroliere e navi da carico. Il bat­tello è anche radiofaro; è battuto bene dal radar. Il 16 maggio 1934 il transatlantico Olympic, nella nebbia (il radar non esisteva), lo sperona e lo affonda: persero la vita i sette uomini di equipaggio del battello.
Un accordo consensuale sulle rotte, non obbligatorio, tra alcune delle compagnie di navigazione che fanno servizio con New York, consigliava ai piroscafi passeggeri di passare a 20 miglia (M) a sud del battello se diretti a Est, vicino ad esso se diretti a Ovest (ora è TSS, rotta raccomandata IMO). Né la società Italia né la società svedese aderivano a questa accordo, ma ciò nonostante l’Andrea Doria seguiva la rotta consi­gliata.
Mai fu costruito, secondo l’architetto navale e giornalista C. K. Barnaby (v. biblio­grafia), un transatlantico passeggeri più lussuoso dell’Andrea Doria. L’aspetto, da ogni punto di vista, era superbo. La linea del cavallino, l’ammassarsi della sovrastruttura a terrazze e la posizione dell’unico fumaiolo erano esattamente quali dovevano essere: un profilo piacevole da qualsiasi prospettiva. L’A.D. fu varato nel 1951 dal famoso cantiere Ansaldo di Sestri Ponente, un sobborgo di Genova, e compì il viaggio inaugu­rale a New York nel gennaio 1953. I passeggeri rimasero stupefatti per la bellezza degli interni e per l’artistico arredamento. Lungo m. 213, aveva una stazza di 29083 tonn. e le sue turbine a vapore (35000 HP) gli davano una velocità di 23 nodi. Fu la prima passeggeri costruita nel dopoguerra, orgoglio di Genova (A. Doria fu ammiraglio e doge del 16° secolo. Tra le sue battaglie, epica quella vinta contro i Francesi per la difesa della Corsica).
La nave svedese Stockholm, in paragone, assomigliava più ad una grande nave da carico, con i bighi accoppiati e la sovrastruttura ammassata, che ad una passeggeri. Dipinto tutto di bianco, era tenuto con pulizia immacolata. Lungo m 158, la sua stazza era di 12644 tonn.; fu costruito a Guthenburg; era azionato da due motori Diesel con un totale di 14600 HP che conferiva una velocità di 19 nodi.
Il 25 luglio 1956 lo Stockholm era agli inizi di una traversata di ritorno in patria e l’Andrea Doria si avvicinava alla fine del suo viaggio verso New York. Lo S. avrebbe dovuto doppiare il battello faro di Nantucket (N) e poi fare rotta in modo da scapolare Sable Island e intraprendere la traversata oceanica verso la Svezia, aggirando la Sco­zia. Il D. aveva lasciato Genova, Napoli, Cannes e Gibilterra; era atteso in banchina a New York il mattino seguente alle 6.00.
Quando era ancora a 150 M dal battello di N. il D. era incappato in una nebbia che si era progressivamente infittita. Il comandante Pietro Calamai era continuamente in plancia, e con lui i due ufficiali di guardia (C. Franchini ed E. Giannini); Franchini osservava al radar. La sala macchine era stata avvertita, la velocità un po’ ridotta (21,8 Kn). Le porte stagne chiuse. I fischi prolungati di sirena avvertivano, con il loro suono cupo, qualunque nave a portata di udito. Un marinaio era al timone e tre di vedetta.
Nei saloni tre orchestre suonavano musica da ballo nelle tre classi che ospitavano 1134 passeggeri. L’AD. aveva 572 uomini di equipaggio.

Alle 22.20 Franchini annuncio: “Nantucket al traverso, distanza 1 miglio”. Squillò il telefono della vedetta di prua: “debole suono del corno da nebbia sulla dritta”. Cala­mai, in aletta, si voltò verso la plancia e ordinò “governare per 269”. Era la rotta per New York. Improvvisamente, alle 22.45 Franchini dal radar annunciò: c’è una nave, viene verso di noi; e su rilevamento 4° a dritta, distanza 17 M. “Strano” disse intanto Franchini “che una nave venga verso Est in questa zona”; “molto strano” rispose Ca­lamai.
Alle 20.30 di quel mercoledì lo S. era già a circa 130 M dalla costa newyorkese e stava avvicinandosi a Nantucket. Era di guardia il 3° ufficiale J. Carstens, 26 anni. Lo S. seguiva rotta 90°. Alle 21.40 circa il comandante Nordenson, dopo aver osservato la carta, ordinò al timoniere di accostare di 3° a sinistra per seguire rotta 87°. Si può in­tuire che avesse l’intenzione di avvicinarsi quanto più possibile al battello-faro N. Il cielo era sereno o quasi. Lasciò il ponte dopo aver dato ordine all’ufficiale che lo si chiamasse immediatamente in caso di nebbia e che non si lasciasse avvicinare da alcu­na nave a meno di 1 miglio e che lo si chiamasse al traverso di N. Carstens procedette al controllo della posizione rilevando al radiogoniometro Nantucket (f = 314 Khz), poi il radiofaro di Block Islands, e successivamente quello di Pollock Rip. Trovò la nave fuori rotta, derivata verso nord, probabilmente a causa della corrente; ordinò al timo­niere 89°. A Carstens sfuggì un segnale r.t. di Nantucket molto importante: 4 linee ogni minuto, avvertimento di nebbia fitta in zona. Dopo un altro Pn, a nord della rotta, corresse di ancora due gradi, a dritta, la prora del timoniere. Oltre al posizionamento Carstens aveva un’altra preoccupazione: il timoniere Larsen, al primo imbarco su una nave di linea, si distraeva facilmente. Il grafico del registratore di rotta mostrava chia­ramente alambardate fino a 7° a dritta ed a sinistra della prora.
23.00 Stockholm; l’ufficiale si accorge che al radar c’è un bersaglio a 12 M, leg­germente a sinistra della prua.
23.00 plancia del Doria. Distanza 7 M; il rilevamento “sale”: è chiaro che l’altra nave passerà a dritta, 1 M (CPA), “dritta con dritta”.
23.05 plancia Stockholm: distanza 10 M, il rilevamento è incerto. “Larsen, la bussola” domanda l’ufficiale; “90” risponde il timoniere. Dopo un po’ “Larsen la bus­sola”; “91” è la risposta. Il punto luminoso, sul radar, sembra 2° a sinistra. (nota: il radar dello S. non era asservito alla girobussola. Per fare il tracciamento – plotting­ Carstens doveva calcolare o il Rilv (P' + ρ') o il polare ρ (Rilv – Pv); ρ' è il polare corrispondente alla prora P' istantanea fornitagli dal timoniere). È comprensibile l’oggettiva difficoltà di lavoro in cui si trovava Carstens.
23.06 A.D. ρ = 15° a dritta, distanza 3,5 M Calamai al timoniere:” “4° a sini­stra”. Il comandante e Giannini erano sempre sull’aletta a scrutare nella nebbia l’apparire delle luci della nave e udirne i segnali.
23.07 S. distanza 6 M. Dopo il tracciamento l’ufficiale rimane sorpreso dell’alta velocità del bersaglio e pensa ad una nave militare in esercitazione. Si preoccupa per­ché non scorge ancora le luci dei fanali. Non sa che sta per entrare in zona di nebbia; il cielo è parzialmente nuvoloso.
23.08 S. Il marinaio sull’aletta di sinistra grida a Carstens: “luce a sinistra”. An­che il marinaio in coffa: “luci a sinistra, 20 gradi”. L’ufficiale comincia a vedere il fa­nale rosso; distanza radar: 2 miglia. Valuta che le due navi passeranno a meno di 1 miglio; si ricorda della consegna del suo comandante, ordina al timoniere: “22° a drit­ta, deciso”. Dimentica di segnalare l’accostata con un fischio breve.
23.09 A.D. distanza 1,5 M; ρ = 35° a dritta. Calamai e Giannini scorgono una luce opaca nella nebbia; poco dopo vedono i due fanali bianchi: valutano che la nave passerà regolarmente.
23.10 S. Carstens si accorge, stupefatto, che i fanali bianchi di testa d’albero rive­lano una direzione di spostamento della nave che potrebbe essere di collisione con lo S. Va sull’aletta di sinistra e vede davanti a se lunghe file di oblò della fiancata destra di una grande nave tutta illuminata che sta per attraversare la rotta dello Stockholm. Ter­rorizzato ordina: “tutto il timone a dritta”; si lancia sul telegrafo e mette “indietro tutta”. Chiude le porte stagne.
23.10 A.D. Giannini inforca il binocolo ed inorridisce: “sta girando … mostra il rosso … ci viene addosso!”. Calamai ordina: “timone tutto a sinistra”. Il timoniere Vi­sciano si aggrappa alle caviglie della ruota e furiosamente esegue l’ordine. Franchini aziona la sirena: due fischi brevi. Dopo alcuni interminabili secondi gli scatti della girobussola avvertono che il transatlantico sta rispondendo alle sollecitazioni del ti­mone. Ma ormai è troppo tardi. Restano tutti impietriti davanti ad un fantasma sbuca­to dalla nebbia, trasformatosi in un grosso scafo bianco, acuminato che dirige minac­cioso verso di loro; attimi tremendi, in attesa dell’urto inevitabile.
23.11 Carstens e Larsen poterono soltanto guardare impotenti e atterriti che la robusta prora della loro nave, tra lo stridore delle lamiere, penetrava nella fiancata della AD.
La prua dello S. non era “cedevole”. Il dritto era particolarmente rinforzato per farsi strada nel ghiaccio. Con un angolo di 55° sfondò gli alloggi della classe cabina, proprio al di sotto della plancia, e penetrò fino ai serbatoi di carburante di dritta. La prua dello Stockholm s’incastrò in tal modo che anche gli alloggi prodieri dell’equipaggio dello S. si fracassarono. La paratia di collisione fu distrutta e finì in mare con circa trenta metri della prora, ma per fortuna la paratia tra la stiva 1 e la stiva 2 resse e lo Stockholm si salvò. L’AD. fu colpita a metà tra le ordinate 133 e 173. Il primo macchinista Pazzaglia, nella sua relazione, dice che si era verificata una pene­trazione di acqua e nafta dalla parte alta della paratia prodiera della centrale elettrica, lato destro. La nave non avrebbe dovuto sbandare più di 7°, per allagamento asimme­trico; oppure avrebbe dovuto avere sistemi di bilanciamento atti a ridurre lo sbanda­mento entro i 7°. Invece il D. nel giro di pochi minuti sbandò di 18° portando il limite di dritta del ponte delle paratie stagne vicino all’acqua; poco dopo sotto l’acqua, per­mettendo al mare di rovesciarsi al di sopra delle paratie stagne intatte. Quali i motivi?
Nell’imminenza dell’arrivo i bagagli dei passeggeri erano già accatastati sul lato di dritta del ponte passeggiata; i serbatoi di combustibile in cui si era verificato 1’urto erano sistemati da ambo i lati di una stretta galleria centrale. All’estremità prodiera di questa galleria c’era una piccola sala pompe che conteneva le valvole di regolazione del flusso dei serbatoi e quelle che servivano ad allagarli con l’acqua di mare. L’estremità poppiera di questa galleria, lunga quasi 17 metri, portava alla centrale elettrica principale e poiché la galleria era stretta, ed era quasi al centro nave, limitata da ogni lato da fasciame stagno ed a tenuta di combustibile, non si era ritenuto neces­sario munirla di porta stagna. Ciò con l’ovvia approvazione degli Istituti di classifica­zione.
Questi due fattori contribuirono alla perdita della Andrea Doria: la galleria fu inondata dai serbatoi di dritta, squarciati dall’urto, e non fu possibile raggiungere le valvole che servivano ad allagare i serbatoi di sinistra (vuoti al temine della traversa­ta, come quelli di dritta) e ad equilibrare così i momenti di sbandamento. Né fu possibi­le impedire all’acqua, nella galleria inondata, di rovesciarsi all’interno della sala cen­trale elettrica. Lo sbandamento aumentò e si portò a 22°. Constatata l’impossibilità di allagare i serbatoi di sinistra, si tentò il prosciugamento delle sentine, il travaso acqua di lavanda dalla cisterna di dritta a quella di sinistra, il travaso nafta dai doppi fondi dritta a cisterna di sinistra, ma gli interventi non sortirono l’effetto desiderato.
Calamai si convinse subito che era impossibile ammainare le lance di sinistra, dato 1o sbandamento di 18° ed oltre. Le lance erano su gru moderne a scivolo destinate ad operare con uno sbandamento massimo di 15°. Si riuscì ad ammainare, con qualche problema, soltanto le lance di dritta, con un capacità complessiva del 60% del totale delle persone presenti a bordo. Per aiutare l’imbarco dei passeggeri sulle lance, queste vennero accostate alla poppa della nave, da dove avvenne il trasbordo.
I segnali di S.O.S. inviati dall’AD. furono raccolti dalle numerose navi in zona e dall’efficiente servizio della Coast Guard che inviò navi pattuglia e rimorchiatori. Il marconista dell’Ile de France raccolse la chiamata di soccorso ed il comandante invertì la rotta per dirigere sul D. Intanto tre lance dell’AD. avevano raggiunto lo Stockholm, occupate dal personale di camera e cucina dell’Andrea Doria e da qualche passeggero. Questo fatto venne giudicato severamente e negativamente dall’equipaggio della nave svedese e dalla stampa americana. Peraltro l’equipaggio del D., nella grandissima maggioranza, si comportò benissimo, in considerazione dell’allarmante sbandamento che intanto aveva raggiunto 30°, presagio di un non lontano affondamento. L’evacuazione dei passeggeri divenne più ordinata dopo l’arrivo dell’Ile de France. Vecchi, malati e bambini furono in molti casi calati già dentro le reti allungate lungo la fiancata di dritta del D., pronti per essere trasbordati dall’equipaggio sulle vicine lance. Lo sbarco proseguì in fretta ed alle 4 del mattino il comandante in 2a O. Magagnini ed il l° ufficiale L. Oneto riferirono che tutti i superstiti erano stati sbarcati.
La prua dello S., come una sonda, era entrata nella cabina 52 e aveva trascinato via la dodicenne Linda Morgan, proiettandola “al sicuro” dietro un paraonde dello S. dove restò protetta da altri danni. Qui fu ritrovata, mentre dormiva, da due uomini dell’equipaggio dello S., con grande stupore quando scoprirono che Linda era passeggera dell’AD. Quando i passeggeri ebbero ormai lasciato la nave, Calamai ordinò all’equipaggio an­cora a bordo di abbandonare la nave, ma chiese che rimanessero dei volontari fino all’arrivo dei rimorchiatori. Sperava di far rimorchiare la nave in acque basse.
La valorosa e lunga lotta degli Ufficiali di Macchina contro il mare irrompente era finita un’ora prima. Erano rimasti ai loro posti nonostante lo sbandamento ed il rischio di rovesciamento, cercando di tenere in funzione pompe e luci fino all’ultimo momen­to; questo arrivò quando l’acqua, salendo, raggiunse la dinamo in sala macchina prin­cipale e non si poté fare più niente.
Lo sbandamento aumentava ancora, quando alle 5.30 raggiunse 40°; Calamai disse agli Ufficiali ancora a bordo di abbandonare la nave imbarcando nell’ultima lancia di salvataggio ancora sospesa, la N° 11. Quando gli Ufficiali si accorsero che Calamai aveva in animo di rimanere sulla AD., ritornarono indietro avvertendolo che non avrebbero lasciato la nave senza di lui. Calamai si lascio convincere.
L’Ile de France raccolse 753 persone; lo Stockholm 545; la nave-trasporto USA 158; il Cap Anne 129, il cacciatorpediniere Allen 77 (Calamai ed i suoi ufficiali erano tra questi), la petroliera Tidewater 1, 1’ultimo passeggero: si era addormentato nell’ospedale della nave. Per quanto se ne sappia nessuno in vita fu lasciato a bordo del transatlantico in agonia. Fu un’impresa notevole e, in se stessa, un tributo all’attaccamento al dovere degli ufficiali e dei marinai. Mancarono all’appello 43 persone, decedute al momento della collisione.
L’Ile de France, completata l’opera di salvataggio, sostò 30 minuti; poi partì per New York: ma prima girò attorno al transatlantico agonizzante abbassando la bandiera tre volte e lanciando tre lunghi fischi di sirena: ultimo saluto. Alle 10.09, dopo 11 ore dalla collisione, l’Andrea Doria si rovesciò ancora sul fianco destro e s’inabisso con le luci ancora accese sui ponti e una pompa che pompava acqua dai locali allagati.
Lo Stockholm, a causa dello squarcio di prua, ebbe le due ancore incattivate nelle lamiere contorte; le catene, uscite dal pozzo, penzolavano in mare e s’incagliarono sul fondo. Poco dopo l’affondamento dell’A.D., liberato dalle catene, scortato dalla pat­tuglia della Coast Guard, rientrò a New York. Nel sinistro perse tre uomini di equi­paggio e quattro furono gravemente feriti, tutti quelli che erano nelle cabine di castello .
………. Udienze preliminari in Tribunale a New York . .
Gli avvocati della compagnia di navigazione Italia erano capeggiati da E. Underwood che si concentrò sui punti deboli delle tesi svedesi:
“Signor Carstens, se 6 minuti prima della collisione lei stimò l’AD. a 10 miglia di distanza”, ma intervenne subito Carstens dicendo che “l’ora era da considerarsi pura­mente indicativa”, “ma ammettiamo pure che i minuti, anziché 6 siano stati 9” replico Underwood, “se in tale intervallo lo S. a 18 nodi percorse 2,7 M, l’A.D. avrebbe dovuto coprire 7,3 M, giusto?”. Carstens rispose affermativamente. “Le chiedo: a quale veloci­tà l’A.D. avrebbe dovuto percorrere 7,3 M?”
“Beh, dunque, avrebbe dovuto navigare a circa 40 nodi”
“49 nodi!” lo corresse l’avvocato, che voleva dimostrare l’inattendibilità delle sue battute radar.
Underwood lo accusò di aver atteso troppo a lungo prima di ordinare l’accostata a dritta, ed inoltre di non aver sospettato che era la nebbia a nascondere le luci del D.
Gli avvocati della compagnia svedese Svenska erano capeggiati da Haight la cui tesi poggiava sull’eccessiva velocità dell’A.D. in nebbia, sull’accostata a sinistra contraria alle norme, (per la precisione le norme in vigore a quel tempo diceva­no: «preferabily to the right») allo sbandamento immediato o quasi di 18°, sull’esigua stabilità, e sulla scomparsa del giornale di bordo della nave. L’avvocato chiese al comandante di tracciare su una tavola di carteggio la rotta delle due navi, in base ai dati da lui ricordati. Calamai eseguì il disegno e rimase a fissarlo pensosamente. “Allora lo S. era o non era su rotta parallela a quella dell’A.D.?” incalzò, con cor­tesia, Haight. Il comandante, senza distogliere lo sguardo dal foglio rispose: “No, lo vedo adesso dal diagramma”. L’avvocato voleva dimostrare che le due navi erano in rotta di collisione già prima delle ultime reciproche accostate.
Mentre gli ufficiali dello Stockholm si presentarono in tribunale a New York in di­visa e il comandante Nordenson difese sicuro l’operato del suo terzo ufficiale durante l’interrogatorio, malgrado le contraddizioni emerse, il comandante Calamai, abbattuto fisicamente e moralmente (“la sua vita è stata distrutta insieme con l’A.D”. – disse la figlia Silvia -), si presentò in abito borghese. Fu reticente in talune parti della sua espo­sizione, in particolare sulla stabilità (su cui, disse lui, avrebbero deposto gli ufficiali di macchina). L’opinione pubblica americana non approvò questo comportamento.
Mentre la società svedese continuò a tenere nel suo organico sia Carstens sia Nor­denson, la Soc. Italia abbandonò Calamai, tenne in “quarantena” gli ufficiali del Doria.
Considerazioni finali. Il radar, a quei tempi, era uno strumento nuovo e poco co­nosciuto a molti ufficiali. Non sempre funzionava bene.
Il regolamento (1948) per evitare gli abbordi in mare non era così rigido, nella re­gola di comportamento di due navi in controcorsa o quasi, come lo è l’odierno (1972) che impone categoricamente ad entrambe le navi l’accostata a dritta.
Il venire a sinistra di Calamai, nella sua versione cinematica, avrebbe evitato di tagliare la rotta dell’altra nave.
La decisa accostata a sinistra ordinata da Calamai all’ultimo momento, già in vista dello Stockholm in avvicinamento, non ha influito sulla collisione che sarebbe avvenu­ta comunque; quando le due navi si urtarono l’Andrea Doria era all’inizio dell’accostata: aveva accostato di soli 5° (v. grafico); il resto dell’accostata fu la con­seguenza dell’abbordo con lo S. e del timone dell’A.D. tutto a sinistra.
Si fa notare, per inciso o per curiosità, che se Calamai avesse fermato le macchine appena notata la virata dello S., giungendo al punto dell’inevitabile abbordo con qual­che manciata di secondi di ritardo, il D. molto probabilmente sarebbe diventato nave speronante. Le conseguenze della tragedia sarebbero state molto più gravi; quasi cer­tamente l’urto avrebbe causato l’incendio: la motonave S. aveva le casse piene di diesel!
Sulla cinematica delle due navi non ci sono più dubbi dopo l’apprezzabilissimo studio fatto da un direttore di macchina americano: Mr. Carrothers. In base agli ele­menti forniti dai tracciati di rotta delle navi, Carrothers, direttore di macchina nonché ispettore del reparto costruzioni e riparazioni della Mathson Navigation Co., ha rico­struito i movimenti delle navi fino al momento della collisione e da questo studio è risultato evidente che l’ordine dato dal 3° ufficiale dello Stockholm di accostare di 22° a dritta 3 minuti prima della collisione fu l’errore fatale e la causa finale del disastro.
L’ondata di colpevolezza che si era abbattuta su Calamai è stato il frutto di valuta­zioni superficiali fatte da taluni giornalisti più portati al sensazionalismo della notizia che al professionismo dell’informazione.
La società di navigazione “Italia” avrebbe dovuto controbattere a molte accuse, al­cune delle quali decisamente infamanti ed infondate.
Non le mancavano i canali isti­tuzionali per organizzare conferenze e dibattiti.
Ritorniamo sulla chiusura anticipata delle udienze. Gli ufficiali di macchina dell’A.D., rimasti in silenzio per ben tre mesi e mezzo di udienze, durante i quali si videro maltrattare nella loro dignità di

uomini, avrebbero dimostrato che la nave si perse per le vie d’acqua aperte dallo speronamento e non per l’incapacità del personale di raddrizzare la nave o per l’insufficienza del sistema di bilanciamento. Questi valo­rosi uomini della Macchina, ufficiali e comuni, capitanati da Luigi Pazzaglia, si prodigarono fino all’ultimo, in condizioni di lavoro difficile e rischioso.
L’illusione che con una formale “stretta di mano” (tra le due compagnie di naviga­zione) si potesse mettere a tacere la coscienza, fu ingiusta quanto la convinzione che l’accordo avrebbe ricondotto alla normalità la vita di alcuni degli uomini che di perso­na avevano vissuto la tragedia del Nantucket. Ma questo non poteva interessare gli assicuratori. In seguito ad indiscrezioni si vennero a conoscere le somme che essi ver­sarono alle casse delle due società. Le 1200 vertenze con terzi sarebbero state composte attingendo il denaro dal fondo di cauzione che già era stato versato dalle due società armatrici.

Chiudiamo con le parole del D.M. mister Carrothers: “Per quelli che hanno inte­resse nello studio delle cause degli incidenti, sulla ricerca della verità, non c’è al­cuna soddisfazione puntare il dito su colui che ha sbagliato; ma i fatti sono fatti ed essi hanno in se stessi una loro eloquenza: gli incidenti non accadono; essi sono cau­sati. Esaminando le cause si possono sempre apprendere utili insegnamenti da e per gli uomini che sono e saranno responsabili sui posti di comando delle navi”.

(Per la bibliografia vedasi l’ultima pagina del libro)

Commenti (1)

“Sono un ex CLC con frequenza all’ITN Marcantonio Colonna di Roma a partire dall’ anno scolastico 1957- 63 e rammento il Diagramma delle rotte del Transatlantico A.Dora che fu oggetto di discussione e di studio. Purtroppo per noi (Italiani) il dramma fu causato da due coincdeenze, l’alta velocità dell’AD e la sua rotta leggermente convergente con quella dello Stockholm che pur per pochi gradi ma provenendo da dritta sicuramente aveva la precedenza. L’accostata a sinistra della AD poi, altamente sconsigliata dalle regole degli abbordi in mare ma purtroppo anche ai giorni nostri molto usata, rese ancora più impegnativo l’abbordo confermando il diritto di precedenza che arrise allo Stockholms…”

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